mercoledì 2 novembre 2011

"La misteriosa morte di Ippolito Nievo" di Emiliano Ventura

Chi ricorda ancora oggi Ippolito Nievo? Il nome è conosciuto se si ha familiarità con una strada o una piazza che ne porta il nome, il più preparato probabilmente saprà che è l’autore delle Confessioni di un Italiano, un voluminoso romanzo storico che a scuola ci hanno insegnato ad odiare.
Cittadino di Padova nasce nel 1831 prima di dedicarsi alle lettere ha studiato Legge nella stessa città, è stato molto di più del semplice autore del romanzo che anticipa l’unità nazionale, la sua figura e la sua morte non ha cessato di creare interesse. È autore di un testo particolare come la Storia filosofica dei secoli futuri in cui intreccia politica e teorie fantascientifiche, tanto che alcuni vi hanno visto una proto-fantascienza.
Poeta e drammaturgo, articolista avverso alla politica austriaca ha manifestato nelle lettere e nella pratica il suo desiderio di vedere l’Italia unita.
Nievo vuole combattere con i volontari di Garibaldi, si unisce ai Cacciatori delle Alpi nella Seconda guerra di Indipendenza (1859), poi deluso e amareggiato dalla pace di Villafranca si unisce alla spedizione dei Mille. Preferirà sempre questo fronte combattente irregolare a differenza dei fratelli che si arruolano tra i piemontesi. Grazie alla sua personalità votata all’onestà intellettuale e alla precisione, uniti ai suoi studi in Legge, viene assegnato all’intendenza, ovvero l’ufficio amministrativo del piccolo esercito garibaldino, in poche parole deve gestire i soldi.
Combatte per mesi in quella campagna vittoriosa, tanto sbandierata sui vecchi sussidiari di scuola, poi nel 1861 in prossimità dell’ufficializzazione del neonato Regno d’Italia qualcuno muove accuse alla gestione dell’impresa, si accusa l’Intendenza di cattiva gestione. È La Farina l’uomo inviato in Sicilia da Cavour che tenta di gettare fango su Garibaldi e l’impresa, il tutto per la paura che Garibaldi non lasci le conquistate terre al Piemonte.
Ippolito reagisce alle accuse compilando un accurato resoconto delle spese sostenute in guerra, si prepara a partire per Torino dove vuole fare chiarezza, ha appuntamento con il suo diretto superiore Acerbi. Non mancavano le difficoltà per lo scrittore improvvisatosi amministratore, sono sessantamila i cappotti acquistati per i garibaldini e mai indossati (verranno rivenduti a basso prezzo dagli stessi garibaldini), nell’esercito improvvisato si contano un numero spropositato di promozioni. C’è da gestire l’enorme cifra requisita al Banco di Sicilia, circa 200 milioni di euro odierni. Il 4 marzo del 1861 Nievo e le sue carte si imbarcano da Palermo per Napoli sul vapore Ercole inseme ad altre ottanta persone, la notte tra il 4 e il 5 marzo il vascello naufraga senza alcun superstite.
Fin qui sembra una delle tante tragedie di guerra e mare, ma come dice Shakespeare “c’è del marcio in Danimarca”, qualcosa non torna.
Nel 2010 è uscito uno dei pochi bei libri che vengono pubblicati in Italia, ne è autore Cesaremaria Glori, il titolo è La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole (Edizioni Solfanelli), come reso già nel titolo Glori vede in quel naufragio un fatto doloso, cioè la volontà di far tacere una voce, quindi un atto politico.
Una trentina di anni prima nel 1974 Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito, aveva scritto Il Prato in fondo al mare, dove rievoca la figura dell’avo e ricostruisce l’avventura del tentativo di riportare alla luce la verità sul naufragio del battello; racconta, allo stesso tempo, la spedizione che tentò cento anni dopo di recuperare parte del vapore adagiato sul fondo marino. È una morte che non ha cessato di interessare la letteratura.
Il libro di Glori è meritevole di ‘aver schiarito alquanto certe ombre delle idee’, sulla morte di Nievo e sulla spedizione dei Mille. Veniamo così a sapere del ruolo della Massoneria nell’impresa dei mille, in particolare della massoneria Inglese che vedeva di buon occhio il ridimensionamento del papato e dei borboni del Regno delle due Sicilie. Veniamo a sapere, secondo Glori, che una ingente somma di denaro (diecimila piastre turche pari a svariati milioni di dollari) è stata consegnata durante lo scalo a Talomone dei due piroscafi che trasportavano i mille verso la Sicilia, Ippolito Nievo in qualità di intendente doveva amministrare e vigilare su questa somma di denaro, letteralmente ci dormiva sopra. La somma messa a disposizione da donatori stranieri, tra cui le loggie massoniche europee, dovevano servire a pagare le necessità di ogni esercito ma anche per permettere di ‘ammorbidire’ la difesa dell’esercito borbonico. Il regno dei Borboni era il più ricco della penisola e industrialmente avanzato, i suoi cantieri erano i più efficienti, i macchinari dell’acciaieria di Pietrarsa vennero inglobati dall’Ansaldo di Genova dopo l’Unità, il suo esercito e la sua marina erano tra quelli con il miglior equipaggiamento; la loro sconfitta è stata troppo facile per non destare sospetti di corruzione. Anche se questa accusa non è mai stata provata i 15 mila soldati borbonici che lasciano ordinatamente Palermo nelle mani dei pochi garibaldini un sospetto lo lasciano.
La storia fatta dai vincitori ci ha insegnato che l’impresa ha avuto successo coronato dall’unità d’ Italia, non ci dice però che il nuovo potere non è immune da resistenze, ogni volta che a un potere se ne sostituisce un altro non è mai un atto indolore, le scosse di assestamento finiscono per colpire i meno furbi e i più onesti. Sotto l’inchiesta contro l’operato dell’Intendenza (e quindi indirettamente contro l’onestà di Nievo) e dei Mille si intuisce una manovra eversiva della destra conservatrice, le carte imbarcate sull’Ercole con il resoconto dettagliato di Nievo dovevano servire come difesa e come prova della regolarità e dell’onestà del movimento garibaldino.
Il colonnello Ippolito Nievo doveva sapere molte cose e le aveva scritte in documenti dettagliati, li stava portano al nuovo parlamento di Torino quando quel battello naufraga senza un superstite la stampa ufficiale gli dedica poco e tardivo interesse. Per Glori quel naufragio ha il sapore del sabotaggio e la morte di Nievo non è una casualità. Non è il solo a pensarla così anche lo storico Nino Buttitta pensa che il naufragio e la morte di Nievo sia stato il primo delitto di Stato italiano, un caso Mattei dell’Ottocento. Su cinque navi che erano sulla stessa rotta la sola a non arrivare in porto è proprio l’Ercole, sparisce senza lasciare neanche un legno di risacca, il che risulta essere strano se fosse stato un naufragio accidentale qualcosa si sarebbe trovata. Questo fatto alimenta il sospetto del sabotaggio o dell’esplosione che giustificherebbe un affondamento così rapido da ingoiare qualsiasi cosa.
Il saggio di Cesaremaria Glori è una lettura preziosa che apre scenari ancora non chiariti e troppe volte taciuti per una retorica patriottica ormai desueta, ha il pregio di essere una lettura necessaria.

Emiliano Ventura

http://www.steppa.net/html/emiliano/nievo.htm


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